Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Tu non sei esattamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vedere in un posto come questo a quest’ora del mattino. E invece eccoti qua, e non puoi certo dire che il terreno ti sia del tutto sconosciuto, anche se i particolari sono confusi. Sei in un nightclub e stai parlando con una ragazza rapata a zero. Il locale è lo Heartbreak oppure il Lizar Lounge. Tutto diverrebbe più chiaro se potessi fare un salto in bagno a sniffare una bella riga di Tiramisù Boliviano. Una vocina dentro di te insiste che questa epidemica mancanza di chiarezza è già il risultato di un eccesso di biancolina. La notte ha orami girato quell’impercettibile chiavetta con cui si passa dalle due alle sei del mattino. Tu sai benissimo che il momento è arrivato e passato, ma non sei ancora disposto ad ammettere di aver superato il limite oltre il quale tutto è effetto collaterale gratuito e paralisi di terminazioni nervose.
Questo l’incipit di Le mille luci di New York, celebre romanzo d’esordio di Jay McInerney. Protagonista di questa storia è un giovane giornalista con velleità da scrittore che lavora al Reparto Verifica dei Fatti per una rivista patinata di una New York che fa da sfondo e cornice a uomini e donne persi nella voglia di godere, nel desiderio di spingere sempre più in là i limiti di ciò che è lecito. Incapace di conciliare le responsabilità che impone il lavoro e la vita notturna che lo porta a frequentare mille persone e mille locali alla ricerca di sempre nuove esperienze, il protagonista vede inesorabilmente franare il suo sistema di vita, che letteralmente si spacca lasciando affiorare il magma di sofferenza che fino a quel momento era stato accuratamente e con tutti i mezzi possibili celato.
Le mille luci di New York è scritto in una magnifica seconda persona. È difficile trovare romanzi scritti a questo modo e le ragioni sono diverse. Prima di tutto, per dirla rozzamente, è necessaria una storia compatta (e quindi una grande capacità di sintesi che non sia in contrapposizione all’impressione di essere calati in un mondo che ogni romanzo deve cercare di restiruire), e poi ci vuole una voce accattivante, personale, che riesca a creare e, al tempo stesso, assorbire e convertire in interesse e curiosità l’iniziale senso di straniamento che può cogliere il lettore. Si, perchè nella seconda persona è implicita una sorta di impossibilità a familiarizzare col protagonista. E come potrebbe esserci immedesimazione se il lettore, chiamato all’appello ed interpellato, si trasforma egli stesso in protagonista? L’immedesimazione comporta una separazione iniziale; separazione che, di fatto, non si dà in un romanzo scritto in seconda persona. Non fa forse questo l’incipit? Sei in un nightclub e parli con una ragazza dalla testa rasata. Insomma, sei tu ad essere lì, sei tu lo sniffatore di cocaina. Tu, lettore, stai subendo una violenza mica da poco!
Ma qui come in pochi altri casi la forma è del tutto funzionale al contenuto, anzi, questo approccio è così ben riuscito che la stessa distinzione forma/contenuto diventa qualcosa di ozioso, essendosi data una sintesi tanto compiuta. Che cosa è, dunque, questa seconda persona? È la seconda persona della dissociazione, quella di chi agisce in preda alla sensazione di non essere il vero attore della propria vita, di chi prende le distanze da una vita che non lo soddisfa, di chi usa alcool e sostanza per scollarsi da sé, di chi non accetta la propria quotidianità. È la seconda persona di chi è accecato dalle mille luci della grande metropoli contemporanea, di chi vive freneticamente perché terrorizzato dall’idea di perdersi qualcosa dell’incredibile (ed imperdibile) spettacolo che tutto intorno infuria.
Avete cominciato su nell’Upper East Side con champagne e prospettive illimitate, in stretta osservanza alla regola Allagash del moto perpetuo: un bicchiere a ogni fermata. La missione di Tad nella vita è divertirsi più di chiunque altro a New York City, e questo prevede un sacco di spostamenti, dato che esiste sempre la possibilità che il posto in cui non ti trovi sia molto più movimentato di quello in cui ti trovi.
Ma questa è anche la seconda persona di chi tenta di non essere sopraffatto dalla solitudine, quella del disperato tentativo di far vestire i propri panni al lettore, di condividere il proprio dolore e la propria frustrazione. In questo senso Le mille luci di New York può essere letto come una confessione e richiesta di com-passione, nel senso di un soffrire insieme, di un lamento, di una voce di sottofondo che continua a ripetere: soffri-con-me-non-lasciarmi-solo-in-un-mondo-tanto-grande-e-complesso…
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Curioso. Stavo pensando che è veramente raro trovare un romanzo scritto in seconda persona. Forse solo Italo Calvino, amando sperimentare, le ha provate veramente tutte, e quindi non solo a scrivere in prima e in terza persona, ma anche in seconda , come ad esempio ha fatto in certi tratti di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Non mi vengono in mente altri scrittori che usano questa forma, e forse anche noi lettori non siamo abituati ad affrontarla…sicuramente fa un effetto strano.
Vero. A parte l’esempio di Calvino, neanche io, al momento, ricordo altri autori che si siano cimentati con questa forma di scrittura. Non devono essere molti, ma qualche altro dovrà pur esserci. Farò una ricerca.
Se vi interessa l’argomento “Seconda Persona”, ho fondato su Facebook, insieme a un’altra autrice a cui piace scrivere in seconda persona, un gruppo: “Scrittori che danno del TU”. Il gruppo ha avuto un discreto successo (al momento conta 119 membri in 3 mesi di vita) per cui abbiamo anche deciso di lanciare una selezione gratuita di racconti da pubblicare in un’antologia che sarà sempre gratuita
Per informazioni vi invito a venirci a trovare, di seguito trovate i link:
Link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/776881485667317/
Blog della selezione comprensivo di bando e giuria: http://spspfiction.wordpress.com
Ciao,
Davide Schito
Grazie per la segnalazione. Non mancherò di farvi visita.
Sono la co-autrice del progetto 🙂 Mi sono permessa di mettere sul nostro sito la recensione, che ho particolarmente apprezzato.
Beh, sono lusingato per l’apprezzamento. Non conoscevo il Vostro progetto, ma sembra davvero interessante. Lo seguirò.