Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
L’altra storia racconta la fucilazione del colonnello Guadalupe Sanchez, figliol prodigo di Agua Prieta, che al momento di affrontare il plotone di esecuzione chiese, come ultimo desiderio, di fumarsi un sigaro. L’ufficiale che comandava il plotone glielo concesse. Gli diedero il suo ultimo avana. Guadalupe Sanchez lo accese con calma e cominciò a fumarselo senza fretta, assaporandolo e ammirando l’alba (perché questa storia, come quella di Tombstone, si svolge anch’essa all’alba ed è perfino probabile che si tratti della stessa alba, un 15 maggio del 1912), e avvolto nel fumo il colonnello Sanchez se ne stava così tranquillo, così trasognato o così sereno, che la cenere rimase attaccata al sigaro, forse era proprio questo che il colonnello voleva, vedere con i propri occhi se il suo polso l’avrebbe tradito, se il suo ultimo sospiro avrebbe svelato la sua mancanza di coraggio, ma l’avana finì e la cenere non cadde a terra. Allora il colonnello Sanchez buttò il mozzicone e disse fate pure.
Non è fuor di luogo prendere in prestito un’espressione che il filosofo francese Deleuze usò per descrivere L’essere e il nulla di Sartre: “piccoli romanzi”, diceva, per riassumere tutta l’incredibile varietà di mondi (esistenziali) tracciati nel capolavoro del pensatore francese. Già, perché I detective selvaggi di Bolaño è un’incredibile costellazione di micro-racconti che sono delle testimonianze, ma anche una raccolta di voci che (disperatamente) chiedono al lettore di collaborare per metterle insieme e dare vita a qualcosa come una cornice, una struttura per tenere su l’incredibile affresco che questo autore è riuscito a creare. Un viaggio nello spazio e nel tempo, dal Messico alla Spagna, passando per l’Africa e gli Stati Uniti, il tutto disposto in un orizzonte temporale che va dal 1975 al 1986. Facile comprendere come qui la questione della storia, o della trama, sia un argomento di secondaria importanza. E tuttavia, proprio a volerla tirare fuori, si può riassumerla così. Arturo Belano e Ulises Lima – i due protagonisti indiscussi e poeti da strapazzo – si mettono alla ricerca di Cesarea Tinajero, creatrice di un’unica composizione poetica (che poi è un disegno, un rebus, un’enigma) e fondatrice del “realismo viscerale”, o realvisceralismo, corrente artistica cui i nostri due selvaggi detective (con altri della loro generazione) appartengono. Questa ricerca, però, mano a mano che si va avanti nella lettura, sembra sempre meno reggere all’urto dei fatti, meglio, dalle molte testimonianze che via via si sommano il ritratto di Belano e Lima si fa più complesso: da romantici poeti alla ricerca delle origini, diventano due spacciatori che usano la nomea di poeti come copertura per spacciare droga. Qui i generi si mischiano fino a formare qualcosa di difficilmente definibile. Un poliziesco sgangherato, un dossier, un libro-intervista che ingloba un diario di un giovane artista, una violenta critica ai regimi totalitari dell’America latina, il ritratto spietato di una generazione di intellettuali ed artisti, una denuncia del degrado morale e materiale degli anni Settanta.
Seppi allora, con umiltà, con perplessità, in un impeto di messicanità assoluta, che eravamo governati dal caso e che in quella tempesta saremmo annegati tutti, e seppi che solo i più astuti, non certamente io, si sarebbero tenuti a galla ancora per un po’.
Romanzo senza centro e senza verità, romanzo senza punto di vista, romanzo senza sintesi finale, romanzo arlecchino, fatto della somma di una quantità impressionante di testimonianze contraddittorie e per nulla neutrali e disinteressate sulle vicende storiche che fanno da orizzonte a tutta la vicenda. Il solo elenco dei personaggi che prendono la parola occuperebbe un numero eccessivo di righe. Meglio limitarsi a qualche rigo ancora e poi, per finire, lasciare spazio a Cesarea Tinajero e alla sua unica composizione che, però, non è un componimento, ma un disegno; che forse è una cosa seria, ma che può benissimo essere uno scherzo; che è componimento autentico, ma che può benissimo essere un falso: qualcosa di cui non si conosce l’autenticità è che però è il fondamento di un’opera così importante.
Ecco le parole che Iñaki Echavarne pronuncia nel luglio del 1994 a Barcellona, al bar Giardinetto.
Per un po’ la Critica accompagna l’Opera, poi la Critica svanisce e sono i Lettori ad accompagnarla. Il viaggio può essere lungo o corto. Poi i Lettori muoiono uno per uno e l’Opera va avanti da sola, sebbene un’altra Critica e altri Lettori a poco a poco incominciano ad accompagnarla sulla sua rotta. Poi la Critica muore di nuovo e i Lettori muoiono di nuovo e su questa pista di ossa l’Opera continua il suo viaggio verso la solitudine. Avvicinarsi a essa, navigare nella sua scia è segno inequivocabile di morte certa, ma un’altra Critica e altri Lettori le si avvicinano instancabili e implacabili e il tempo e la velocità li divorano. Alla fine l’Opera viaggia irrimediabilmente sola nell’Immensità. E un giorno l’Opera muore, come muoiono tutte le cose, come si estingueranno il sole e la Terra, e il Sistema Solare e la Galassia e la più recondita memoria degli uomini. Tutto quel che inizia come commedia finisce in tragedia.
E poi c’è il gioco delle interpretazioni e delle prospettive possibili sull’opera di Cesarea. C’è chi giura di averla meditata per più di quarant’anni e non averci capito un fico secco. Chi dice che è una presa per il culo, chi parla di metafora della vita. Secondo alcuni cela un mistero, secondo altri di misteri qui non ce ne sono: è tutto fin troppo chiaro.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Ottima segnalazione, grazie .
Grazie a te. Bolaño è un grande autore. Solo una morte prematura poteva mettere un freno al suo incredibile talento. Quello che ha scritto, però, è assolutamente da leggere.
Mi hai spinta con vero interesse verso questo libro!
Grazie.
gb
Sì, purtroppo, Bolaño morì ancora giovane.
Che cosa sarebbe stato capace di scrivere?
Cosa sarebbe stato capace di scrivere? Difficile dirlo. Sappiamo che la sua ultima opera, “2666”, fu scritta in una sorta di lotta contro il tempo. Già malato, Bolaño lasciò appunti e note ai futuri curatori per dare all’opera quella forma che lui non sarebbe riuscito ad imprimerle a causa della malattia. Pur fra tutte queste difficoltà ne è uscito fuori un romanzo incredibilmente bello e complesso. Cosa sarebbe stato capace di scrivere? Probabilmente altri grandi romanzi.
Altri grandi romanzi. Probabilmente.
Grazie a te.
gb
Mi sa che questo me lo devo proprio leggere!
Temo proprio di si!
Io trovai questo libro strepitosoooo … dovrei fare un post anch’io appena trovo l’ispirazione …
Davvero strepitoso. La lettura del romanzo è stata una vera esperienza, ma scriverne è stato altrettanto interessante. Sono stato obbligato a riprenderlo e a sfogliarlo più volte, così come ho dovuto rileggerne diverse parti. Sempre facendomi la stessa domanda: ma sono proprio sicuro di averci capito qualcosa? Ancora non sono sicuro di poter rispondere affermativamente a questa domanda.