Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Salendo a bordo della minuscola navetta di controllore orbitale, Jack diede quindi inizio a un periodo della sua vita in cui avrebbe passato nove settimane a non fare niente, se non starsene completamente solo a guardare lo Spazio dall’oblò per arrivare a capire che il Vuoto che gli era sembrato di riconoscere nella sua solitudine era, di fatto, il Vuoto là fuori e che lui non era andato avanti e indietro per niente, perché in realtà lui non era molto diverso da quelle Stelle che si allontanano senza pace da ogni altra cosa che esiste nell’universo, quelle Stelle che si sarebbero spente proprio come si sarebbe spento anche lui…un giorno, lontano da tutti e dal Vuoto.
Fragile microcosmo in un macrocosmo dominato dall’entropia, Jack Kerouac si prepara a passare nove settimane nello Spazio, fresco di contratto (senza tutele) con la Coca-Cola Enterprise. Non sarà il solo, però, a misurarsi con il Vuoto. Altri personaggi, tutti parte dell’immaginario collettivo, popolano Lo spazio sfinito. Una Marilyn Monroe che fa la commessa in libreria, ma anche Arthur Miller, Neal Cassady, Burroughs. Il lettore rimane straniato nell’atmosfera rarefatta (potrebbe essere diversamente una volta catapultati nello Spazio?) e nell’incedere incantatorio di una storia che in qualche modo non c’è. E come potrebbe esserci? Pare d’essere spettatori sospesi in una sorta di “mondo delle idee”, fra corpi che fluttuano lì dove il movimento è e non-è, lì dove il tempo è e non-è, lì dove tutto è fissato in un eterno errare nel Vuoto, nello Spazio. Cosa sia questo Vuoto (o Spazio) non è dato saperlo con certezza. Qui mi prenderò il lusso di definirlo l’Immaginario, così come mi prenderò il lusso di definire questo Immaginario (o Mondo delle Idee) come un non-luogo “realissimo” con cui noi siamo in grado di entrare in relazione; un non-luogo assai significativo e decisamente significante cui possiamo accedere perché le nostre menti sono qualcosa come delle parabole o delle antenne capaci di sintonizzarsi con determinate e specialissime frequenze, che poi sono le frequenze del mito.
Questo mondo incantato (ed incantatorio) innalza e schiaccia, pretende slancio e al tempo stesso lo delude, dichiarando la propria inaccessibilità.
Non si incontrarono mai. Non si videro mai. Si parlarono soltanto per telefono. Lui le parlava cercando di ricordare i riflessi che il rossetto specchiante disegnava sulle labbra della ragazza conosciuta alla libreria Quantum. Lei lo ascoltava e quando sullo schermo del televisore acceso appariva il dettaglio della bocca di Modernella, istintivamente si portava le dita alle labbra ed era in quei momenti che quasi le scappava di dire, “Non sono lei, ma ti amo anch’io. Ama anche me, ti prego. Come ami lei”. Ma si tratteneva. Poi la telefonata finiva e rimaneva a guardare il televisore senza ascoltare cosa avevano da dire quelle persone che gesticolavano nel lucore elettronico emanato dalla scatola della bellezza.
Scatola della bellezza. Appunto. Ma entrare veramente in quello Spazio, che è Spazio Vuoto, farne parte veramente, significa partecipare di un cielo vuoto. Significa accedere al drammatico ed esilarante dialogo stellare fra Kerouac, Cary Grant e James Dean sul numero e la natura delle stelle e realizzare – in una parabola dantesca di segno capovolto – che di stelle non ce ne sono e che se ci sono non si vedono, che lì c’è solo Vuoto e che il Vuoto, per definizione, non può esser visto, perché il Vuoto è Assenza. Kerouac è l’eroe di questa assenza, di questo vuoto, è l’unico a sapere che non si possono veder le stelle, ad aver perso ogni speranza.
Bzzzzz.
Ditemi se vedete le stelle…
Bzzzzz.
Ditemelo, vi prego…
Bzzzzz.
Passo.
Bzzzzz.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori