Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Ho come l’impressione che Dio sia ingiusto, che preferisca punire i suoi figli più deboli, tonti, grassi e pelandroni. Mi sa che trae più soddisfazione dalle sue creature più perfette, incitandole come un padre scriteriato quando ci calpestano. Ci dona questo bisogno d’amore, ma non ci dà i mezzi per soddisfarlo. Ci dona la voglia di piacere, e un campionario di attributi che ci rendono assolutamente spiacevoli. E una volta messi i suoi figli imperfetti e bisognosi in un mondo pieno di pretese, sottrae la differenza fra ciò che abbiamo, ciò che desideriamo con tutta l’anima e la nostra autostima e la nostra salute mentale.
Forse queste poche righe prese dal racconto 180 chili di amministratore delegato riassumono al meglio l’intento di George Saunders. Guardare lì dove risiede il naturale bisogno di amore e felicità, lì dove queste due esigenze vengono puntualmente coltivate e, al tempo stesso, tradite da una società che sottrae il diritto di essere esauditi per tutti quelli che non rientrano nel recinto di ciò che è permesso, tollerato, apprezzato. Esclusi, emarginati, sfigati, sfortunati, chiamateli come volete, ma una cosa è certa: in loro, così come in tutti gli altri, pulsa una naturale e sacrosanta spinta verso la felicità, la gioia, l’amore. E così, per parlarci di tutto questo, Saunders – che non ha paura di usare queste parole tanto bistrattate – dà sfogo alla sua incredibile immaginazione, gettandoci in un vortice di personaggi e situazioni assurde. Parchi a tema, associazioni per lo smistamento-ricollocamento di procioni, franchising per la gestione della memoria, enormi campi dove uomini e donne d’ogni tipo si accapigliano per tentare di rimanere a galla o per preservare quel briciolo di umanità che ancora arde in loro. Saunders non dà alcuna indicazione, non invita a seguire nessuna strada precisa, non crede di avere in tasca la verità o la soluzione per i nostri problemi, per combattere la solitudine, il dolore, l’emarginazione e le ingiustizie che costellano le nostre esistenze. Saunders si limita a raccontarci questo male e a ricordarci che molta parte di questo stesso male potrebbe essere facilmente risparmiato a noi come al prossimo. Basta aprire gli occhi e riconoscerlo per quello che è, e cioè il prodotto di una certa stupidità e faciloneria. Fare questo sarebbe, forse, il primo passo verso un parziale superamento di molte difficoltà che incontriamo ogni giorno. Saunders indica, ma, nel momento stesso in cui lo fa, ferocemente mostra tutto il pericolo che il buon senso si porta dietro.
Quella notte sogno di trovarmi scalzo di fronte a una folla ostile di Normali armati di mazze da baseball. Spiego che in vita mia non ho mai amato nessuno così tanto. Descrivo come sobbalza la piccola quando fa il ruttino, i suoi occhietti marrone, la sua testolina profumata. Li supplico di revocare la Legge sulla Schiavitù e di concederle la piena cittadinanza. Li imploro di pensare ai loro figli e di onorare l’eterno che alberga in ognuno di noi. Poi resto lì e abbozzo un sorriso, sperando per il meglio, e la folla si lancia all’attacco e mi bastona con le mazze da baseball finché non muoio.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Pingback: Saunders, Dieci dicembre | Tommaso Aramaico