Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Ultimamente me ne capitano una dietro l’altra, ma mentre ero chiuso nell’ascensore che lentamente mi portava al piano terra, non potevo minimamente immaginare che di lì a poche ore avrei preso parte ad un matrimonio in cui la sposa si sarebbe innamorata di me, al primo sguardo. Mi fissavo allo specchio dell’ascensore, prendendo coscienza dei mutamenti che la perdita del lavoro e la fine burrascosa di una relazione amorosa avevano lasciato sul mio viso. Ero dimagrito, anche se non sciupato; provato, ma non devastato.
All’idea di salire in macchina ed affrontare due ore di viaggio per sorbirmi il solito matrimonio celebrato nel solito borgo, con la solita coppia di sposi che si pensavano originali e buoni ecco, a questa sola idea mi veniva la nausea. Ma andavo comunque dato che Lucio era cugino di secondo grado dello sposo e aveva insistito per farmi inserire nella lista degli invitati. E del resto non c’era nulla di originale in me, uno che in un colpo solo perde lavoro e donna ed è obbligato a tornare a casa dei genitori. Insomma, era tutto decisamente patetico, già visto. Sarei andato, avrei mangiato e bevuto come un porco, assentandomi spesso per andare a pisciare, per poi tornarmene a casa, la sera, e crollare sul divano-letto in salone, dato che quella che era stata la mia stanza, è da tempo occupata da mia nonna.
Che le cose non sarebbero poi andate a quel modo è già uscito fuori, ma io non potevo saperlo, e così avevo passato tutto il viaggio in macchina chiuso in un cupo silenzio, guardando fuori dal finestrino mentre Marika, la sorella di Lucio, mi si era seduta accanto. Teneva le gambe decisamente divaricate, tipo camionista, nel tentativo di strusciare la sua coscia contro la mia. Ma io ero assolutamente patetico ed anestetizzato. Sono alto, ho grandi mani e delle unghie che rasentano la perfezione. I miei occhi, la mia pelle e i miei capelli sono scuri. I chili che ho perso dopo questo periodo travagliato hanno affilato il mio volto, evidenziando zigomi e taglio degli occhi. Marika non poteva fare a meno di impegnarsi in quel corpo a corpo, mentre Lucio iniziava ad innervosirsi, tanto che dopo una sosta per bere un caffè, mi aveva imposto di sedermi davanti, al suo fianco, obbligando la moglie a retrocedere. Sabina aveva annusato il motivo del cambio posti e lo prendeva per il culo. Diceva parolacce, volgarità concernenti corpi che fanno irruzione in altri corpi.
“Lui? È in fase ascetica, è innocuo, vero? – Lucio diceva bene. Ero anestetizzato.
Arrivati al borgo mi sono ritrovato ancor più sconfortato di prima, se possibile. Era veramente il solito borgo. Decisamente carino, pulito, tutto casette di pietra, gatti randagi dal pelo lucente, gerani dai colori innaturali, vecchiette incuriosite, panorama. Anche il clima era esasperante, nella sua mitezza. Vestivo il mio completo blu scuro ed ero in uno stato di grazia; non avevo freddo, ma neanche caldo, palle e ascelle perfettamente asciutte e tiepide. Se avessi avuto degli occhiali da sole li avrei messi per proteggere gli occhi dalla luce che mi investiva da tutte le direzioni, rimbalzando sulla pietra bianca che era ovunque.
Lucio, Marika e Sabina salutavano i parenti in uno sperpero di baci e abbracci e sorrisi. Lucio era riuscito a presentarmi più o meno una ventina di persone, prima di stufarsi e lasciarmi al mio destino. Mi limitavo a seguirlo, piazzandomi alle sue spalle, qualche passo indietro, tipo guardia del corpo. Ero pronto per andarmene ma eravamo in un borgo e in un borgo, per definizione, non c’è niente, neppure una via di fuga. Ripeto, nulla lasciava immaginare la piega che avrebbe preso quella giornata. Dopo un tempo quantificabile in un’ora e mezza, stando all’orologio, ma paragonabile ad un paio di lustri secondo il tempo dello spirito, eravamo finalmente in chiesa. Anzi, nella piccola chiesa di pietra che apriva sulla piazza centrale.
Eravamo allineati su di una panca della fila di destra, a metà strada fra altare e la volta che dava sul mondo esterno. In chiesa era frescolino e così avevo affondato le mie grandi mani nelle tasche dei pantaloni. Marika continuava a strusciarsi. Assolutamente diabolica. Mi chiedevo cosa stesse pensando Gesù nel vederla comportarsi a quel modo nella Sua casa e, al tempo stesso, cercavo di immaginare cosa sarebbe stata capace di fare quando il parroco ci avrebbe invitato a scambiarci un gesto di pace. Uscivo dal mio letargo…
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Mi piace. Ma non dico altro, altrimenti rischi di scambiarmi per tua madre 😀 Scherzo, naturalmente.
Fuor di parentele inaspettate tipo romanzetto rosa…apprezzamento graditissimo.
Bello!!! e mooolto interessante!!
Grazie. Decisamente lusingato!