Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Si parla tanto di Pinocchio, ma non abbastanza del padre, di Geppetto. In generale, questo celebre falegname viene visto come un arzillo vecchietto con tanto di baffi ed occhiali, tutto preso dalle monellerie del suo caro burattino. Ma a ben leggere la grande opera di Collodi le cose stanno diversamente, tanto che la stessa esistenza di Geppetto pare un banco di prova per una domanda fondamentale: quanto dolore può sopportare un padre? Quanto è disposto, un padre, a mettersi nelle condizioni di farsi tradire dal figlio (perché è solo chi ha avuto fiducia, o fede, che può esser tradito)? Geppetto è il padre fedele, è colui che soffre della sofferenza del figlio, è il padre che si mette alla ricerca del figlio.
Senza stare qui a riassumere una storia universalmente nota, si può subito entrare nel vivo della vicenda. Per prima cosa bisogna dire che questa non è la storia della trasformazione del solo Pinocchio, ma anche di Geppetto, di colui che ha creato il figlio da un ciocco li legno. Dice molto della sua natura di padre già la prima metamorfosi: se da principio crea Pinocchio per mettere un argine alla propria solitudine e fare qualche soldo (“un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino”), nello stesso atto del crearlo si ritrova ad amarlo, meglio: si ritrova ad amare quella cosa che lì, sotto le sue mani esperte, sta prendendo la forma del figlio. Già da ora (non bisogna dimenticare che Pinocchio ha già iniziato a canzonarlo e a farsi beffe di lui) Geppetto passa da colui che crea-per-sfruttare la propria creatura a padre che si mette al servizio del figlio. Geppetto forgia il figlio e per il figlio rinuncia al proprio interesse per vestire il ruolo del padre: “Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!”. Ma questo male Geppetto lo assume in pieno, senza riserve: lo crea con braccia e gambe ed occhi e bocca. Lo crea libero e Pinocchio, per ringraziarlo, gli assesta subito un calcio sul naso. Iniziano così le fughe, le menzogne, lo sfruttamento del povero padre. E tuttavia Geppetto non lo abbandona mai. Non smette di prendersene cura. Di ritorno dal carcere in cui è stato sbattuto dai Carabinieri per colpa del figlio, ricostruisce i piedi del burattino e gli cede il proprio cibo (le famose “tre pere”). E tutto questo senza un lamento, ma solo esortandolo ad essere un bravo ragazzo.
Quanto ha vagato il padre, quante altre persone sono state più importanti di lui per Pinocchio? Tanti, troppi (dalla coppia Gatto-Volpe fino a Lucignolo, passando per compagni di scuola e furfanti d’ogni genere). Ma Geppetto non ha mai smesso di parlare. Geppetto desidera che il figlio diventi “buono” e cioè che si “umanizzi”, lasciandosi alle spalle le vesti del burattino. In questo lungo percorso a tutti i fallimenti di Pinocchio corrispondono altrettanti dolori per Geppetto: agli errori del burattino, l’errare del padre; allo sperpero di Pinocchio, la povertà del vecchio falegname; alla cattività di Pinocchio-asino, la prigionia di Geppetto nel ventre del pesce-cane.
Pinocchio rappresenta il gusto di un’esistenza priva di freni e di filtri, mentre Geppetto è il padre che insegue il figlio per consegnargli un letto, o argine, in cui far scorrere quel fiume in piena e così scongiurare il pericolo che tanta forza di disperda e si esaurisca (quante volte, del resto, Pinocchio rischia la morte e cioè una dissipazione totale e senza ritorno?). Lontano dagli insegnamenti del padre, Pinocchio perde tutto, persino lo stesso Geppetto, quando lo vede scomparire nelle acque del mare, ingoiato dalle onde: ”Voglio salvare il mio babbo!” urla Pinocchio. A Pinocchio saranno necessarie ancora una incredibile serie di nuove avventure (fra tutte il paese dei Balocchi), prima di ritrovare nuovamente il padre. È nel ventre del pesce-cane che si darà il nuovo incontro. Geppetto è il padre che ha accettato il figlio in tutto e per tutto: “Dunque gli occhi mi dicono il vero?” e “Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio?”. Queste le prime parole che pronuncia nel vederlo. Il dolore e il patimento del padre sono sopportabili, è il dolore (anche potenziale) del figlio a non esserlo. Da adesso in poi sarà Pinocchio a doversi occupare del padre. Geppetto è ormai stanco. Sarà Pinocchio a tirarlo fuori dal ventre del pesce-cane. Geppetto è malato.
Ancora, quanto dolore può sopportare il padre-Geppetto? La sua malattia diventa il lavoro di Pinocchio e alla sua guarigione, nel finale, corrisponderà l’effettiva umanizzazione del figlio.
Continuò più di cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell’alba, per andare a girare il bindolo, e guadagnare così quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute cagionosa del suo babbo. Né si contentò di questo: perché a tempo avanzato, imparò a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco: e coi quattrini che ne ricavava, provvedeva con moltissimo giudizio a tutte le spese giornaliere. Fra le altre cose costruì da se stesso un elegante carrettino per condurre a spasso il suo babbo nelle belle giornate, e per fargli prendere una boccata d’aria. Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l’indice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto allo scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo né calamaio né inchiostro, lo intingeva in una boccettina ripiena di sugo di more e di ciliege…
Finalmente Pinocchio si trasforma in un bambino vero e Geppetto guarisce, mentre un burattino un legno sta buttato in un angolo, presso una seggiola. Ma non bisogna farsi trarre in inganno. Questa non è un’apologia dei buoni sentimenti. Neanche per sogno. Pinocchio si è umanizzato, ma per farlo ha rischiato la morte (la propria come quella del padre), è stato impiccato, ha sentito i morsi della fame e la pesantezza della schiavitù, è stato avaro, bugiardo, ha conosciuto il duro lavoro, la fatica e le privazioni, il “travaglio del negativo”. Ma tutto questo l’ha, infine, reso padrone di sé, capace di fare uso della libertà che il padre gli ha donato. Già, e quindi vissero tutti felici e contenti? Si, ma solo in parte. Geppetto può finalmente godere della propria vecchiaia col suo adorato Pinocchio? Si, ma la verità è un passo più in là (credo): Pinocchio è un bambino vero e Geppetto ha assolto alla propria funzione. Quindi può finalmente morire, anzi, in qualche modo è già morto.
Quanto dolore può sopportare un padre? Fino al limite estremo. Geppetto è il padre che lotta affinché il figlio diventi uomo, è il padre che lotta affinché il figlio non abbia più bisogno di un padre. Geppetto è il padre che lotta contro se stesso (contro la propria necessità) per rendere possibile il figlio[1]. Geppetto è il padre nella sua forma più universale: colui che se ne va o che se ne può finalmente andare in pace dopo che il figlio è finalmente libero (dalla tutela del padre) e quindi pronto ad essere padre egli stesso e quindi pronto, a sua volta, a morire…e del resto come avrebbe potuto morire prima, lui che era solo un burattino?
[1] Sarebbe assurdo pretendere di scrivere qualcosa sulla figura del padre in Kafka (beh, se è per questo anche con Pinocchio…) e tuttavia uno spunto credo mi sia concesso. Enorme è la distanza fra il padre di Collodi e quello di Kafka. Nella Lettera al padre, Hermann Kafka appare non solo come una presenza ingombrante, maestosa e terrificante, ma sembra dotato di una sorta di immortalità, meglio pare che gli sia impossibile di morire, e quindi ritirarsi e lasciare lo spazio necessario al figlio per “umanizzarsi”, per diventare uomo. Franz Kafka è schiacciato nel ruolo del figlio, è incapace di emanciparsi da tale condizione per così poter diventare uomo e padre e marito egli stesso. Insomma, se il Geppetto di Pinocchio si ritira per lasciare spazio al figlio (che da burattino diventa bambino di carne ed ossa), in Kafka abbiamo un padre onnipresente e onnipotente che si espande fino ad occupare il mondo intero. E quindi non è un caso che Franz K. da uomo retrocede ad uno stadio inferiore, diventando un enorme insetto (La metamorfosi), così come non è un caso che la Lettera al padre assurge ad inno-maledizione dell’onnipresenza di un padre che soffoca la vita del figlio: “Il matrimonio mi è precluso proprio dal fatto che è il terreno che ti è più proprio. Talvolta immagino di poter aprire davanti a me la carta terrestre e di stendertici sopra. Mi pare allora che per la mia vita si possano prendere in considerazione solo quei territori che né copri col tuo corpo né sono comunque alla tua portata. E data l’idea che mi sono fatto della tua grandezza, questi territori non sono né molti né molto confortanti ”
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
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Geppetto proprio non me lo aspettavo, però la tua analisi mi è piaciuta. Molto.
Grazie. Ho riletto Pinocchio qualche mese fa e mi sono detto: questo si che è un padre!
Credo che i classici per l’infanzia abbiano molto da insegnare, anche a noi adulti.
Lo penso anche io. Sto rileggendo anche le fiabe dei fratelli Grimm e sono semplicemente straordinarie.
Sono capitato su questo tuo post per caso e devo dire che hai fatto un’analisi (Geppetto-Pinocchio) esemplare, inedita, che non ha finito di sorprendermi per le riflessioni che mi ha sollecitato.
Colpa chiaramente dell’età, il mio incontro con Pinocchio, come accade a tutti, è avvenuto da bambino, e da parte mia non c’era la dovuta ovvia maturità, nè nessuno stava a spiegarti, d’altronde giustamente. Così solo ora, col tuo lavoro, mi rendo conto di un capolavoro.
Grazie. Chiaramente Pinocchio è stato uno dei libri della mia infanzia. Letture paterne prima e del bambino che sono stato, poi. Riletto in età adulta ha però svelato, ad occhio meno ingenuo, tutta la sua ricchezza di significati ed implicazioni. Un testo da leggere più volte. Una vera miniera.
Amo Pinocchio a tal punto che l’avrò letto quattro o cinque volte e lo cito soprattutto al mio primogenito Marco quasi fosse un vangelo.
Oggi ho capito tutto!
Grazie
Già da ora (non bisogna dimenticare che Pinocchio ha già iniziato a canzonarlo e a farsi beffe di lui) Geppetto passa da colui che crea-per-sfruttare la propria creatura a padre che si mette al servizio del figlio. Geppetto forgia il figlio e per il figlio rinuncia al proprio interesse per vestire il ruolo del padre: “Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!”. Ma questo male Geppetto lo assume in pieno, senza riserve: lo crea con braccia e gambe ed occhi e bocca. Lo crea libero e Pinocchio, per ringraziarlo, gli assesta subito un calcio sul naso. Iniziano così le fughe, le menzogne, lo sfruttamento del povero padre. E tuttavia Geppetto non lo abbandona mai. Non smette di prendersene cura. Di ritorno dal carcere in cui è stato sbattuto dai Carabinieri per colpa del figlio, ricostruisce i piedi del burattino e gli cede il proprio cibo (le famose “tre pere”). E tutto questo senza un lamento, ma solo esortandolo ad essere un bravo ragazzo.
Grazie per il commento. La favola di Pinocchio è una delle più belle – forse la più bella – di tutti i tempi. Ciclicamente torno a leggerla e ogni volta è una scoperta.