Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Barney Mayerson si svegliò con un mal di testa fuori dal comune, per scoprire che si trovava in una camera da letto nient’affatto familiare in un appcon nient’affatto familiare. Al suo fianco, con le coperte che le arrivavano fino alle spalle nude e lisce, continuava a dormire una ragazza nient’affatto familiare, che respirava lievemente con la bocca, i capelli una matassa di bianco cotonato. Scommetto che sono in ritardo per il lavoro, si disse Barney; scivolò fuori dal letto e barcollò nell’assumere una posizione eretta, a occhi chiusi, tentando di scacciare la nausea. Per quel che ne sapeva, poteva trovarsi a diverse ore di viaggio dal suo ufficio, forse non era nemmeno negli Stati Uniti. Comunque era sulla Terra; la gravità che lo faceva barcollare era familiare, normale. E nella stanza accanto, vicino al divano, una valigia familiare: quella del suo psichiatra, il dottor Sorriso.
L’incipit di Le tre stimmate di Palmer Eldritch catapulta il lettore nel dominio (tanto caro a Dick) dello spaesamento, mettendolo di fronte al protagonista di quello che (a ragione) è considerato il romanzo più ambizioso e teoreticamente, oltre che letterariamente, compiuto di Dick. Scrivere di questo romanzo è quindi impresa ardua, e a questo punto al piacere/fatica della lettura si accompagna il travaglio della tematizzazione. Ben consapevole della difficoltà dell’impresa, mi limiterò ad una presentazione (necessariamente) schematica, offrendo quella che viene apertamente dichiarata una riduzione/semplificazione di un’operazione intellettuale/letteraria ben più ampia e profonda.
Barney Mayerson è il protagonista di questo romanzo allucinato. Un precog (individuo dotato di poteri paranormali che gli permettono di prevedere il futuro) che lavora per Leo Bulero, capitalista vecchio stampo alla guida di un’azienda che commercia dei piccoli plastici in cui far vivere le bambole Perky Pat e Walt. Queste bambole dovrebbero servire ad alleviare la sorte degli infelici coloni marziani costretti ad abbandonare la Terra a causa di condizioni climatiche sempre più avverse. In realtà presto si capisce che il commercio dei plastici serve come copertura per quello reale, che è il traffico del Can-D, una droga allucinogena che permette a questi coloni di dimenticare il dramma della loro esistenza per farsi (per un tempo limitato) una cosa sola con le bambole che vivono in quei plastici che raffigurano una California da sogno. Il sistema collaudato e bel oliato (fatto di collusioni, corruzione e connivenze di ogni tipo) salta quando da Proxima Centauri torna Palmer Eldritch. Eldritch porta con sé una nuova droga dalle potenzialità mai sognate prima, il Chew-Z, che viene lanciato sul mercato degli allucinogeni con uno slogan che dice tutto: “Dio promette la vita eterna; io posso fare di meglio: posso metterla in commercio”. Una droga, quindi, capace, di garantire una vita virtuale senza limiti di tempo, un’eterna beatitudine. Così Leo Bulero inizia a tramare per eliminare Eldritch, che minaccia di distruggere il suo impero economico. Solo che Eldritch si rivela immediatamente come un avversario che si muove su di un diverso ordine, anzi, un avversario che gioca con la realtà stessa (sempre che di realtà si possa ancora parlare), istituendo un passaggio da capogiro da un uni-verso ad una sorta di pluri-verso. La realtà viene ad essere non più qualcosa in cui si esiste e si agisce, bensì un luogo dove si cade, dove si è intrappolati, luogo della caduta. Gettatezza. Palmer Eldritch si ri-vela quale realtà senza identità o certa natura, un ibrido: uomo-entità-extraterrestre-divinità.
Dalla nave scese Palmer Eldrich. Non ci si poteva sbagliare; fin da quando era precipitato da Plutone gli omeodiani avevano pubblicato una foto dopo l’altra. Naturalmente erano foto che risalivano a dieci anni prima, ma l’uomo era ancora quello. Grigio e ossuto, ben oltre il metro e ottanta, con braccia ciondolanti e un’andatura singolarmente rapida. E il suo volto. Aveva qualcosa di devastato, di smangiato; come se, ipotizzò Barney, lo strato di grasso fosse stato consumato, come se Eldrich a un certo punto si fosse nutrito di se stesso, divorando forse con gusto le parti superflue del proprio corpo. Aveva enormi denti d’acciaio, impiantati da dentisti cechi prima del suo viaggio su Proxima; erano saldati alla mascella, permanenti; li avrebbe portati fino alla morte. E…il suo braccio destro era artificiale. Venti anni prima aveva perso quello originale a causa di un incidente di caccia su Callisto; questo naturalmente era superiore, in quanto offriva una gamma di mani interscambiabili specializzate. In quel momento Eldritch stava usando l’estremità manuale umanoide con cinque dita; non fosse stato per il suo luccichio metallico avrebbe potuto sembrare organica. Ed era cieco. Se non altro, dal punto di vista del corpo naturale in cui era nato […]. I rimpiazzi, adatti alle orbite, non avevano pupille, né i globi si muovevano per l’azione dei muscoli. Era invece possibile una visione panoramica da lente grandangolare, una fessura permanente orizzontale che correva da un lato all’altro dell’orbita. L’intera figura era immateriale; dietro di essa si intravedeva il paesaggio.
Con l’entrata in scena (può veramente farlo essendo qualcosa come un simulacro?) di Palmer Eldritch, e del Chew-Z, il lettore viene gettato in un vortice di segnali e rimandi, in un rimescolamento di natura ontologica che rende praticamente impossibile orientarsi e che immette direttamente entro i problemi che più stavano a cuore a Dick: rapporto illusione-realtà, giustificazione dell’esperienza sensibile, critica al capitalismo (chi è del resto Palmer Eldritch se non il capitalista giunto nel suo grado di massima compiutezza?), problemi di natura metafisico-teologici, dominio della tecnica. Eppure questo romanzo può essere letto anche come grande tentativo di affrontare il tema della libertà e della volontà di non-verità che alberga nell’uomo: “Quando le ginocchia di Fran strinsero i suoi fianchi nudi pensò, e chi vuole essere libero? In effetti vogliamo proprio il contrario”. Ed ecco che Dick ci colloca nella piega che attraversa l’esistenza stessa: il futuro appare aperto, tutta possibilità ed indeterminatezza, eppure le nostre scelte (se sono quelle che mirano alla non-libertà) si affastellano e tracciano delle linee, delle tendenze per gli eventi futuri: dove collocare la linea (o la piega, che è sempre anche una piaga o stimmate) che demarca/distingue il futuro come possibilità rispetto al futuro come necessità o fatalità? In altre parole, quando le conseguenze delle nostre azioni si tramutano (per effetto di una transustanziazione morale e teoretica) in catenaccio, in legge che (pre)-determina le nostre esistenze?
Estremo sviluppo della ragione strumentale, con conseguente perdita d’importanza di temi da sempre connessi all’esistenza dell’uomo: religione, verità, libertà. Dick sempre e ancora insiste sul tema dell’uomo che perde se stesso, che inevitabilmente si frantuma e perde centralità, che da soggetto diviene oggetto della Storia che ormai sembra aver irrimediabilmente perso i grandi racconti che l’hanno mossa ed ispirata. La religione, lo Spirito, l’Umanità. In questo vuoto prende corpo (pur essendo simulacro, copia senza originale) la figura di Palmer Eldritch, che rappresenta il dominio dell’Economico, capace di mettere in commercio la vita eterna, di capovolgere ogni sistema di riferimento che permetta di riconoscere la realtà. Eccolo, novello “genio maligno” di cartesiana memoria, capace di trarre in inganno in qualsiasi momento, persino lì dove si è più certi si essere nel vero.
Alzando un sopracciglio, Leo disse: “Palmer Eldritch è morto”. “Ma questo non è reale; questa è una fantasia indotta dalla droga. Traslazione”. “Col cavolo che non è reale” Leo gli rivolse un’occhiataccia. “Io che sarei allora? Ascolta”. Puntò con rabbia il suo indice contro Barney. “Non c’è nulla di irreale in me; sei tu ad essere un fantasma, un’illusione venuta dal passato, come l’hai chiamata. Hai completamente rovesciato la situazione. Lo senti questo”. Calò il pugno sulla superficie della scrivania con tutta la forza che aveva nelle mani. “Il suono della realtà”.
Capace di confondere il suono stesso della realtà. Ma cosa è reale? Come distinguono realtà ed illusione e, soprattutto, per mezzo di quale facoltà? Non di certo con la semplice ragione strumentale che ha ideato (gettando le basi per la sua futura sottomissione) un mondo dominato dalla tecnica. E allora? Col sentimento? Col cuore o con cose tipo l’amore o la fede? Vero è ciò in cui crediamo in quanto ci crediamo. Seguendo Dick sembra non esserci altra soluzione. Bisogna accontentarsi di semplici credenze, lasciandosi alle spalle ogni ideale fondativo, ogni concezione “forte” della verità, così come della ragione e della volontà umane. L’esistenza stessa diviene una sorta di esperimento, di tentativo di portare alla memoria che questa realtà è solo ed unicamente una costruzione. Un rimemorare che non servirà certo per superarla in vista di una vita vera. No, quelle cose non esistono più. Esiste un’erranza senza fine, un sapere senza verità, un uomo creatore di fini (umani, troppo umani) in un’esistenza priva di uno scopo ulteriore, che sia al di là (o al di qua) della sua stessa volontà. Questa è la tragicomica circolarità a cui Dick ci consegna.
Insomma, dovete tener presente che dopo tutto siamo fatti solo di polvere. Ammetterete che non è molto se si vuole tirare avanti; e non dovremmo dimenticarcelo. Ma anche tenendo conto di questo, che non è certo un bell’inizio, non è che ce la stiamo cavando tanto male. Insomma, personalmente sono convinto che ce la possiamo fare anche in questa situazione del cavolo in cui ci troviamo. Mi seguite?
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Proprio qualche giorno fa ho finito il mio primo libro di Philip K. Dick, “L’ uomo dei giochi a premio” (pubblicato anche con il titolo “Tempo fuor di sesto”). Te lo straconsiglio se non l’ hai già letto.
Felice di ritrovarti da queste parti. Non posso seguire il tuo consiglio solo per ragioni cronologiche. Anche io ho scoperto Dick da non molto tempo ed anche per me la prima volta è stata con “Tempo fuor di sesto”. Come puoi vedere ho continuato a leggere questo grande autore. Oltre alle “Tre stimmate” (complesso e bellissimo), ho letto con passione anche Ubik (o come l’hanno ribattezzato alcuni critici U-Dick) e “La svastica sul sole”. Uno più bello dell’altro. Spero di riuscirne a scrivere in futuro, anche se a parlare di Dick ci si sente un poco imbecilli. Non si dovrebbe scherzare col fuoco.
Ho cercato su Google la trama di “La svastica sul sole”, e ho scoperto che si basa sullo stesso presupposto di un libro che ho recensito proprio stamani (http://wwayne.wordpress.com/2014/04/07/giulio-cesare-cyberpunk/): un autore che cambia il corso della storia e prova ad immaginare le conseguenze di tale manipolazione. Devo assolutamente leggerlo. Grazie per la risposta! : )
Giulio Cesare cyberpunk? Ecco una cosa che proprio non sapevo. Adesso vado a vedere, sono troppo curioso. Comunque sia si, il concetto è questo e la Svastica ne è un mirabile esempio.
Questo libro è tutto quello che hai scritto e anche molto di più. È difficilissimo parlarne perché e abissale, fuori da ogni contesto. se Ubik è basato sul ribaltamento della prospettiva, sulle peripezia in senso aristotelico ed è possibile anche una stralunata agnizione, qui c’è solo un salto nel vuoto, una capriola a gravità zero. Bellissimo. se non li hai ancora letti ti consiglio anche Dr Bloodmoney (Cronache del dopobomba) e Noi marziani.
Grazie. È difficile scrivere di Dick in generale, di questo romanzo in particolare, che è veramente abissale come dici. I libri che mi segnali non li ho letti ancora, ma Dick è uno di quegli autori da leggere tutto.
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