Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Malamud, Una nuova vita

Secondo Jonathan Lethem Una vita nuova è il romanzo yatesiano di Malamud. E difatti a leggerlo si respira tutta l’atmosfera ben nota a chi già conosce Revolutionary road o Undici solitudini o Easter parade e così via: l’America degli anni Cinquanta con le sue casette allineate lungo viali alberati, il clima soffocante legato al controllo sociale che preme ed opprime il singolo all’interno delle piccole comunità, il peso della responsabilità legato alle sorti di un destino piccolo-borghese. Insomma, Una vita nuova è la storia di Seymour Levin, “ubriacone pentito” che affronta un lungo viaggio che dal caos di New York lo porta verso Ovest, a Cascadia. Levin, con la sua folta barba, è realmente lo “straniero”, quello venuto da lontano, da subito incapace di adeguarsi alle regole di vita del luogo, benché alla ricerca di una sorta di nuova verginità spirituale. Chiamato ad insegnare “composizione” in una facoltà non umanistica (non al Cascadia University come Levin ingenuamente credeva), ma al Cascadia College, istituto a forte spinta tecnico-scientifica, Levin viene accolto con benevolenza dai colleghi e dall’intera comunità, che coralmente mostra il suo lato sorridente, scintillante, laborioso e moderato.

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L’idillio della piccola cittadina dell’Ovest è a portata di mano, questo si, ma è pur vero che a Cascadia vigono delle regole molto precise: chiunque voglia partecipare a tale idillio è ben accetto, purché si adegui ai costumi del luogo. Il pur gentile ed ospitale Gilley (che ti tale mentalità è incarnazione), mostra fin da subito i denti. Gli sembra un problema persino che Levin porti quella sua folta barba. Gilley gli spiega che quello è uno Stato conservatore, orientato dalla Guerra Fredda, un posto dove la gente ci pensa due volte prima di fare qualcosa che possa realmente cambiare il loro sistema di vita. Levin, fuggito da New York, non riesce però a liberarsi dalla morsa dello spirito del suo tempo, dai venti della guerra in Corea, dalle follie del maccartismo, dal senso di paura che pervade chiunque abbia o desideri avere un comportamento o delle idee anche lontanamente personali, anticonformiste. Tale conservatorismo impregna le aule del college, ottunde le menti degli allievi, orienta i docenti fino alla grottesca censura dell’antologia in cui è presente Dieci indiani, un racconto di Hemingway. Presto, quella che sembrava una tranquilla e pacifica comunità fatta di insegnanti e studiosi e delle loro mogli e mariti e figli, si presenta come luogo dalle mille rivalità striscianti, in una somma di rancori che vanno a polarizzarsi nello scontro per le elezioni del nuovo direttore del dipartimento.

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Malamud come in una camera oscura, lentamente fa emergere il negativo del sogno americano. Seymour Levin, presto abbandonato a se stesso in una comunità dove gli scapoli difficilmente possono trovare collocamento, inizia a vagare per le strade e le campagne circostanti, piomba nelle case dei colleghi alla ricerca di compagnia e lì, per attimo, svela quei piccoli inferni domestici gelosamente celati alla comunità da uomini e donne schiacciati dalla morale comune e dalla necessità d’essere rispettabili.

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La tanto sospirata nuova vita si darà, alla fine, ma sempre e comunque non come vita consciamente progettata, ma come novità che affonda i denti nelle carni del protagonista. Levin forse non diventerà mai come quelli che progressivamente lo emargineranno, ma comunque se ne andrà via in macchina (altro simbolo dell’americano medio), con una barba decisamente più corta, con una famiglia al gran completo e con tutto il carico di dubbi ed accettazione/rassegnazione che il protagonista non riesce a scrollarsi di dosso. Con la certezza che i giochi si giocano ad un livello più alto, e che le carte, sempre e comunque, sia qualcun altro a servirle, e che noi, volenti o nolenti, siamo obbligati a giocare con quelle che ci sono capitate in sorte.

2 commenti su “Malamud, Una nuova vita

  1. sololennesimoblogghista
    febbraio 3, 2014

    Ti ringrazio per questo articolo. Malamud l’ho scoperto bazzicando per internet: della serie “quando la rete crea un tam tam provvidenziale, utile ad orientarsi nel marasma di carta stampata”. Come posso non esser incuriosito davanti un romanzo che parla di un “ubriacone fallito” piccolo borghese che ricerca una nuova “verginità spirituale”? Complimenti per la recensione.
    Mi hai convinto con, cito testualmente, “Malamud come in una camera oscura, lentamente fa emergere il negativo del sogno americano”.
    Gli acquisti della settimana li ho fatti, ma questo lo metto in lista. 🙂

  2. tommasoaramaico
    febbraio 3, 2014

    Stessa cosa è capitata a me. Mi sono imbattuto in Malamud quasi per caso. E ne sono rimasto folgorato. Spero che la tua lettura sarà all’altezza delle aspettative che ho contribuito ad alimentare. Per parte mia posso dirti che sempre di Malamud sto leggendo la raccolta di racconti “Il barile magico”. Soldi ben spesi. Tempo ben speso.
    Grazie per il lusinghiero commento!

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Questa voce è stata pubblicata il febbraio 2, 2014 da con tag , , , , .

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