Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Il traffico, intanto, scorre in flusso incessante lungo il cavalcavia. Gli apparecchi si levano dalle piste dell’aeroporto, portando i resti del seme di Vaughan alle plance e alle griglie dei radiatori di mille auto in fase di schianto, alle posture crurali d’un milione di passeggeri.
Lette queste ultime righe il lettore non potrà che ritrovarsi a chiudere un libro da cui ha ricevuto qualcosa che può essere definito, in via preliminare, come disagio. Questo è tanto vero (ed inevitabile) che lo stesso Ballard ha sentito l’esigenza il accompagnare a Crash una postfazione che ha tutto il sapore della giustificazione (tanto per il testo, quanto per l’autore stesso). Crash è il primo romanzo pornografico a sfondo tecnologico; tale operazione, nella sua radicalità, è una risposta (ed un monito) alla sempre maggiore disumanizzazione dell’uomo e della sua esistenza in un mondo che, in linea di massima, può essere compreso per mezzo di alcune direttrici: pubblicità imperante, scienza, sessualità e pseudo-eventi. Sesso e paranoia presiedono le nostre vite e guidano le nostre azioni e la spinta verso il godimento dell’oggetto-feticcio priva l’uomo d’ogni freno, ma anche di ogni autonomia del desiderio, esponendolo così alla massificazione e privandolo della capacità di esprimersi ed individuarsi per mezzo del sentimento (che è legato al desiderio nella comune opposizione al semplice impulso che mira al godimento sfrenato). Al centro del romanzo c’è la passione per gli incidenti stradali, per quello che Ballard definisce un “cataclisma pandemico istituzionalizzato in tutte le società industriali: un cataclisma che ogni anno uccide centinaia di migliaia di persone e ne ferisce milioni”, lì dove lo “scontro automobilistico” assurge a “sinistro presagio di un orrendo connubio fra sesso e tecnologia”. In Crash il lettore è spettatore della voluttà che pervade i protagonisti del romanzo che, a loro volta, sono avidi spettatori di schianti, smembramenti, dolore e morte dell’Altro. Fino a qui nulla di nuovo. Quello che veramente caratterizza Crash è l’idea/brama dell’esser coinvolti in questi incidenti, della relazione fra uomini che trovano la ragione di questa relazione nel medium tecnologico dell’automobile; in corpi che comunicano secondo il linguaggio delle ferite e delle cicatrici, di corpi-calco, di corpi-segno che rimandano a rottami che nostalgicamente/romanticamente vanno a trovare nei luoghi di deposito dello sfascio. Ma chi sono queste persone che trovano l’unica possibilità di godimento nel dolore (proprio ed altrui)? Ballard stesso (in modo emblematico) si fa soggetto-narrante/oggetto-di-narrazione, come a dire che nessuno è immune da tali dinamiche. Scampato ad un incidente in cui un uomo è morto, mentre lui miracolosamente sfugge rimane in vita, Ballard incontra e si fa adepto di Robert Vaughan. Insieme esplorano i raccordi stradali in cerca della logica più profonda della modernità, che è, in fondo, fascinazione, richiamo di corpo e tecnica, organico ed inorganico, sessualità e morte. Violenza. Ballard getta dentro se stesso e, in tal modo, trascina nel racconto anche l’altro polo necessario a rendere possibile Crash, e cioè il lettore. Noi siamo questo? Sono solo i personaggi di Crash ad essere preda di tali ossessioni, mentre tutti gli altri ne sono estranei? O è piuttosto vero che ormai ogni incontro (nella logica di esasperato ed esasperante individualismo entro il capitalismo compiuto) viene essenzialmente percepito come scontro e che come tale produce una scarica energetica che al dolore accompagna il piacere? Certo, se ormai l’altro è incontrato attraverso il medium dell’oggetto-feticcio che promette felicità, potenza, salvezza (inutile dire che è sufficiente accendere la televisione e prestare attenzione alla moltitudine di inviti/sirene/suggestioni che invitano a comprare – per rimanere in tema – automobili e, con queste, tutto lo sfavillante corredo di rappresentazioni che vogliono essere delle vere e proprie argomentazioni a favore dell’acquisto, alludendo a prestanza, sensualità, fertilità, potenza). Ballard va oltre e cioè mira ad attingere a quello che tali argomentazioni lasciano sullo sfondo, e cioè alla possibilità/necessità di distruggere tutto questo (negli altri come in noi stessi). Ballard esplicita e dà voce alla pulsione di morte, alla carica mortifera dell’oggetto-feticcio ed alla sua inesauribile carica sessuale. Di qui la curvatura pornografica di Crash. Bisogna ribadirlo, non è la pornografia quello che interessa Ballard. Il cuore di questa operazione sta nello stanare il dominio della tecnica e, con la tecnica, di ciò che si oppone alla libertà, e cioè quello che si salda indissolubilmente a ciò che vi è in noi di più contraddittorio, la sessualità. Perché questa è al tempo stesso spontaneità e meccanismo, o dispositivo, e cioè automatismo. Questo suo carattere di automatismo lega la sessualità alla tecnica: entrambe prese nel dominio della fatalità, nel cieco andate avanti, nell’assoluto determinismo. Un godimento di morte privo di desiderio, di eros, è ciò che istituisce l’uomo-macchina. Godimento senza freno che non vivifica, ma porta alla (auto)-distruzione. Per tornare al punto di partenza. Non la macchina che è fuori di noi di mette a disagio, e nemmeno quella che è in noi, ma la macchina che noi siamo, ecco cosa mette a disagio e disgusta (nel senso di (re-)azione che respinge e porta al rifiuto) in Crash.
In distanza, il traffico procedeva a rilento lungo il ponte scoperto del cavalcavia. Non so perché mi venne in mente la volta che Catherine aveva proclamato che non sarebbe mai stata soddisfatta finché non avesse provato ogni possibile atto copulatorio. In qualche punto di quel nesso di cemento e acciaio da costruzione, di quel paesaggio complessamente segnalato di indicatori stradali e di raccordi, di simboli di status e beni di consumo, Vaughan circolava nella sua auto come un messaggero, il gomito segnato di cicatrici appoggiato sulla superficie cromata del finestrino, percorrendo le autostrade in un sogno di violenza e sessualità dietro un parabrezza non lavato.
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Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
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