Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Avete presente Sulla Strada di Kerouac? Bene. Eliminate la macchina e al suo posto mettete una bicicletta. Questo è quello che si può dire, almeno in prima battuta, di Crack 16 di Don Queequeg. Ma chi è Don Queequeg? Non lo so di preciso e probabilmente non è poi così importante saperlo. Lo conosco solo per metà, solo in parte. Con una mano mi passava Crack 16, mentre l’altra, di mano, la teneva ben nascosta dietro la schiena. Conosco solo una parte di Don Queequeg e anche questa parte mi si presenta come contraddizione e sostanzialmente piena di lacune. Meglio lasciare stare la questione sul chi sia D.Q. Eliminato un problema ne viene fuori un altro. Qui il problema sta nella possibilità stessa di parlarne. Crack 16 non può essere riassunto, pare essere del tutto refrattario ad essere tradotto in altre parole che possano in qualche modo restituirne il significato. Non si può presentare (oggetto inconoscibile ed indicibile), ma solo raccontare, forse. Il fatto è, però, che la sola idea di raccontare qualcosa ha già in sé (è sempre bene tenerlo a mente) l’idea della distorsione, della menzogna, dell’invenzione. Si potrebbe finire per dire altro da Crack 16, tradirlo. Questo testo però, a pensarci bene, non corre il rischio di essere tradito: questo testo vuole essere tradito, anzi, è esso stesso una forma di tradimento. Prima di tutto verso il lettore che, ingenuo, vorrebbe cibarsi d’una storiella già bella e confezionata. E poi perché Crack 16 chiede al lettore di riconoscerne la natura di collage, lo mette alla prova e quindi, benché indirettamente, giudica. Non dovrebbe essere piuttosto il lettore a dare un giudizio su quello che legge? Beh, qui le cose sembrano diverse. Già, perché questo racconto un pozzo di citazioni e riferimenti e ad ognuno spetta il compito di scovarli e riconoscerli per quello che sono. Anzi, si potrebbe radicalizzare: Crack 16 come
racconto-arlecchino, fatto di pezze e stracci di diversa forma e colore cuciti insieme. Effetto caleidoscopio. Da far girare la testa. Deleuze, Wallace, Ballard, Melville, Kerouac, ma anche la musica, il cinema, così come il filo conduttore della matematica. Il Pashtun, il Guarascio, Ahmed e tutti quelli che entrano in scena e vengono nominati – tutti sembrano stretti in un’unica tensione, quella fra norma e libertà. E qui la rottura della norma (nel suo duplice senso di legge/regola e normalità/consuetudine) è cercata a tutti costi – tanto da farsi essa stessa norma/legge. Ma questa non è una contraddizione, o meglio: lo è, ma nel senso che la contraddizione muove Crack 16 dalla prima all’ultima parola. Rottura e contraddizione, anche sintattica, linguistica, della frase che sgomita con quella che la segue e quella che la precede; del proposito e dell’azione; del desiderio e dell’impulso. A questo punto, però, mi rendo conto di aver parlato solo di quello che non si può dire, di quello che non si deve cercare e che non si può trovare in Crack 16. Per riparare, dato che è impossibile dis-fare quanto è stato fatto, posso solo riportarne un passo. Lasciarlo parlare.
Una luce si accende a variare la scena. La gente continuava ad inciampare. Uno, poi un altro. L’aggravante delle stampelle. Ahmed e la sua faccia sorpresa. Calca la mano senza mai arrivare a fingere. Non capisce da dove arriva la luce. Qualcosa è cambiato, ma non si coglie immediatamente la differenza. È una questione di rapporti incrementali. Una variazione immediata implica una mancanza di consapevolezza. Il continuum è reazionario. Meglio le variazioni quasi ovunque nulle, ma con una spiccata tendenza a fare boom. Rapporti differenziali come delta di Dirac. Meglio le costanti e le discontinuità. Meglio esser piatti per molto, troppo tempo, e poi esplodere. Forse. L’indagine è aperta. Qui c’è un fatto nuovo, la fotografia è cambiata. Il cambiamento ci pone al centro della scena. La luce arriva da dietro, da sopra lo stand delle bruschette. Gliela indico col dito. Mi fa ridere la sua faccia sorpresa. Mi fanno ridere le facce della gente. A pochi metri da noi, accanto allo stand della birra, c’è uno scalino di troppo. La gente non lo prevede, non può farlo. Non si vede, ma non è tanto una questione di visuale. È una discontinuità non giustificata. Non c’è variazione terrena. È come una muraglia eretta nel mare.
Di Don Queequeg non si sa nulla, eppure ha scritto qualcosa e questo significa che questi chi/cosa è alla ricerca di un contatto. Per chi voglia rispondere a questa sorta di chiamata può solo scrivergli crack16@autistici.org
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)