Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Personaggio impossibile per una storia impossibile, in cerca di un’identità che non c’è in una realtà che non esiste se non come creazione continua. Questo è Caos – uomo attraversato da visioni di cui è solo parzialmente consapevole, chiuso come è nella cabina di proiezione di un multisala abbandonato. Metafora della sua stessa mente e di tutti i suoi sogni, significativamente infarciti dell’immaginario pop fatto di guerre apocalittiche, mutanti, poliziotti cattivi, corrotti e pronti a tutto, oggetti volanti, droghe avveniristiche, religioni sincretiche e buone novelle cantate da robot malinconici. Caos, oppure Moon o ancora Everett, non è un individuo che inizia un’avventura: Caos-Moon-Everett è questo stesso viaggio alla ricerca di un passato che forse non c’è mai stato e che, a conti fatti, aspetta solo di essere creato, esattamente come il presente ed il futuro. Cattiva libertà. Il presente in cui il lettore viene catapultato da Amnesia Moon sembra quello di uno scenario post-bellico, ma così propriamente non è. Probabilmente non c’è stato nessun bombardamento e una sola cosa è certa: nessuno sa cosa sia accaduto, chi abbia prodotto lo scenario in cui Everett-Caos è gettato, né quale fosse stata la realtà prima che l’Evento sconvolgesse tutto. Caos è il debole collante di una storia che fa acqua da tutte le parti e lo stesso Lethem sembra spingerci a pensare che non può che essere così: ogni rappresentazione della realtà è necessariamente parziale e frammentaria e piena di lacune e contraddizioni e, soprattutto, fatalmente delimitata dalle rappresentazioni di tutti quelli che ci sono intorno, in modo tale che noi lottiamo per inglobare gli altri nella nostra visione delle cose, così come, contemporaneamente, siamo sempre presi nello sforzo disumano (e fatalmente votato allo scacco) di sottrarci alla morsa della visione altrui.
Caos lo ignorò. “Mi mancano pezzi enormi della mia vita”, continuò. “Non mi ricordo neanche i miei genitori”.
Kellogg agitò una mano. “Sei un uomo di trent’anni, Caos. È ora che la smetti di piagnucolare sui tuoi genitori. Metti su una famiglia tua, perdio”.
“Chi è stato a farmi questo, Kellogg? Sei stato tu?”.
“No bello. Tu eri già così quando ti ho trovato. Quando tu hai trovato me, quando abbiamo cominciato a lavorare insieme. Dev’essere per forza così, per te. Vivrai sempre in una RFS”.
“RFS?”.
“Realtà Finita Soggettiva. Io la chiamo così. Anzi, dovrei metterci il copyright, su questo nome. Di volta in volta ti crei intorno una piccola zona su cui hai il controllo, finché non vai a sbattere contro un altro che ha la sua. Una piccola sfera di realtà e irrealtà, normalità e follia, qualunque cosa ti capiti di mettere insieme. Non c’è speranza di riuscire a distinguerle. La tua vita è fatta così. RFS”.
“Hai una teoria su tutto, tu”.
“Vero. E la tua RSF avrebbe proprio bisogno di una bella sistemata, Capitano”. Gesticolando, Kellogg rovesciò una candela.
scrittore in Milano, Mondo
«Oὕτως ἀταλαίπωρος τοῖς πολλοῖς ἡ ζήτησις τῆς ἀληθείας, καὶ ἐπὶ τὰ ἑτοῖμα μᾶλλον τρέπονται.» «Così poco faticosa è per i più la ricerca della verità, e a tal punto i più si volgono di preferenza verso ciò che è più a portata di mano». (Tucidide, Storie, I 20, 3)
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di letture e scritture a cura di giulio mozzi
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