Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
A detta di molti critici Cosmopolis sarebbe uno dei romanzi meno riusciti di DeLillo. Forse è vero. Eppure questo non toglie che l’opera sia interessante almeno per un motivo: in quanto permette (differentemente da libri-mondo come Underworld) un accesso immediato ai nodi fondamentali della poetica del grande scrittore americano. Quella che ci viene proposta in Cosmopolis è l’odissea Eric Packer, giovane miliardario che seguiamo per un’intera giornata mentre le borse mondiali sono sconvolte dalla sua personale lotta contro lo yen e mentre la sua stessa incolumità è minacciata da uno sconosciuto che vuole ucciderlo. Cosmo-Polis: il mondo è un sistema chiuso e retto da leggi ferree proprio come nelle poleis greche, solo che adesso, al centro, a fondamento del nomos (della Legge) non c’è la religione, bensì l’economia, meglio: la finanza. Attraverso una finanza elevata a Legge tutto è connesso, tutto è legato. Qui ogni parte ha a che fare con le altre singole parti – fino a formare un sistema compiuto, immanente: cosmo-polis, appunto. Il mondo (cosmo) è ridotto a città (polis), così come ogni città si fa necessariamente mondo. New York è il paradigma di tale distorsione: centro rispetto a cui tutto il resto è periferia, ma anche parte terminale degli innumerevoli centri che le sono connessi. Qui il senso sta nei numeri che, tutt’altro che astratti, raccolgono il senso della Storia. Il capitalismo nella forma finanza è riuscito (almeno in prima istanza) a raccogliere la molteplicità nell’unità dell’Uno-Tutto. Il numero assurge ad arché (principio) e si carica di valenze sacrali. Il mondo sembra ordinato e pienamente realizzato, mosso da leggi accessibili. Vige il sistema dell’equipollenza (Tokio e NY sono vicine ed interscambiabili), così come è possibile lo svuotamento dell’uomo nella sua irriducibilità.
È dunque abbandonata ogni forma di umanesimo. La vita umana (storicamente definita per mezzo delle idee di unicità ed irripetibilità) perde ogni centralità. Tutto è numero e comunicazione e persino gli eventi fondamentali dell’esistenza, come la morte, perdono tutto il loro spessore. L’assassinio di Arthur Rapp (direttore del Fondo Monetario Internazionale) perde ogni consistenza ontologica nell’essere trasmesso dalla televisione un numero indefinito di volte; e al tempo stesso una rivolta cui Eric Packer può assistere affacciandosi al finestrino della sua limousine, riesce ad assumere il connotato dell’esperienza e della fruibilità solo se osservata in televisione: “in tv aveva più senso”. Iperrealtà. Quello che DeLillo ci offre non è solo il viaggio di Eric Packer dal suo attico fino al luogo di lavoro o attraverso le contraddizioni del capitalismo, le sue fitte maglie, la sua carica distruttiva, il culto del successo e della personalità; quello che l’autore ci propone è un viaggio alla ricerca della trascendenza, di una via d’uscita dalle maglie del sistema stesso. È il tentativo di lasciarsi alle spalle l’idea desolante che vuole questo stesso tentativo votato all’insuccesso, perché “la cultura del mercato è totale” e anche chi protesta e si scaglia contro il mercato è un fenomeno previsto, se non addirittura ”incentivato” e richiesto ai fini dell’esistenza del mercato stesso. Tutto sembra fino a tal punto senza via di scampo che DeLillo sceglie di svelarci fin dall’inizio l’esito della personale odissea di Eric Packer, svelandoci che le minacce di morte non solo erano reali, ma anche che avranno esito positivo, dato che Benno Levin, ex dipendente che non ha accettato l’idea di essere relegato ai margini di questo enorme e complesso sistema, riesce ad ucciderlo.
Rimane da stabilire se il lettore non si trovi di fronte ad una specie di sacrificio, all’immolarsi di Eric Packer per sostenere la causa di chi vuole rovesciare il sistema per aprire la strada per un nuovo sistema di vita. Se l’uomo viene di fatto a coincidere con la spinta al godimento indiscriminato che tiene in piedi e nutre il sistema, allora la rinuncia alla sopravvivenza dell’io (inteso in questi termini) può essere il punto di partenza per il rovesciamento dell’ordine (cosmo) costituito ed per l’uscita dai confini della polis. Però non come cosmopolita, bensì come straniero.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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