Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Incipit: Lia e Lea

Una debole luce filtrava dalle vecchie persiane tutte sgangherate, andando a raggrumarsi in tante macchioline giallognole sulle pareti della camera da letto; a tratti, preceduti nella distanza dal rombo di un motore, i fari delle macchine scagliavano saette che tracciavano diagonali lungo il soffitto prima di scomparire dietro gli scatoloni accatastati sull’armadio. Lì sotto, le dita incrociate dietro la testa e il cuscino inclinato sullo schienale del letto, Marcello aspettava che la notte passasse. Qualche rumore, ogni tanto, gocciolava dal piano di sopra, niente di eccezionale o di particolarmente fastidioso, era la signora Viturbo alle prese con l’insonnia.

Il cuscino era stato girato e rigirato, la televisione accesa e poi spenta, le coperte tirate su fino al mento e poi buttate di lato, gli ordini del negozio ripassati mentalmente, due gomitate assestate alla moglie che digrignava i denti nel sonno, la porta di casa controllata dopo un rumore sospetto, un paio di sigarette fumate alla finestra del bagno. In poche parole, era pronto per alzarsi. Erano le tre e mezza e di solito a quell’ora lasciava la camera da letto per andare in cucina. Lì accostava la porta, accendeva la sua radiolina sintonizzata su una stazione che trasmetteva solo musica da camera e aspettava che si facessero le sei leggendo, facendo calcoli e, in generale, pensando a tutto quello che doveva fare; quando alla radiolina iniziava il giornale delle sei, preparava la colazione.

Stava per alzarsi quando il cellulare aveva preso a vibrare, zigzagando e lampeggiando sul comodino. Da un po’ di tempo, dopo ripetute discussioni, aveva ceduto alle pretese di Lorena, sua moglie, ed aveva finito per lasciarlo acceso giorno e notte. Afferrato il cellulare era andato spedito in cucina, dove aveva risposto con un filo di voce per non svegliare nessuno. Sapeva che era il padre, così come conosceva già il motivo che doveva averlo spinto a chiamare a quell’ora, in piena notte. Era per quell’eventualità che Lorena lo aveva obbligato a tenere il cellulare acceso ventiquattro ore su ventiquattro.

«Tua madre è morta» era il padre a parlare, con voce asciutta, resa incerta e lontana dal vento che soffiava forte. Doveva essere in giardino, in quel momento. Marcello non aveva commentato, quindi il vecchio aveva ripreso da dove si era fermato: «che fai, vieni?»

«Parto subito, fra quattro cinque ore sono lì». Lasciato il cellulare sul tavolo era rimasto per qualche secondo immobile, ben attento a misurare e registrare anche la più piccola modificazione che in lui poteva suscitare quella notizia. Teoricamente, cioè da manuale, la morte di uno dei suoi genitori, del tipo di genitori che lui aveva avuto, poteva causargli, in termini di energia liberata e sconvolgimento interiore, danni equiparabili a quelli di una cucina dove una pentola a pressione venisse scoperchiata proprio nel bel mezzo della cottura di un arrosto. Una bomba, dunque, una vera crisi che poteva verosimilmente non lasciargli via di scampo o, nella migliore delle ipotesi, da contrastare per mezzo di una lunga convalescenza e dolorose, oltre che costose, cure mediche. E invece calma piatta, o quasi.

continua a leggere…

Il posto di ciascuno, Tommaso Aramaico

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Un commento su “Incipit: Lia e Lea

  1. Mara
    settembre 7, 2013

    Leggendo questo racconto mi sono chiesta se è possibile che il dolore per un figlio perduto si possa abbattere su quelli rimasti, trascinando tutti in una vita triste e sofferta. Un dolore così grande può portare alla pazzia e allora tutto è possibile. Un dolore così grande è insuperabile. Un dolore così grande segna la vita, senza poter tornare indietro e coinvolge tutti. Il racconto è quanto mai reale, appassionante e trascinante, oltre che ben scritto. Vale la pena leggerlo.

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Questa voce è stata pubblicata il settembre 7, 2013 da con tag , , , .

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