Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Pubblicato nel 1939, vincitore del premio Pulitzer, Furore divenne fin da subito romanzo simbolo della Grande Depressione, delle speranze deluse di un intero popolo di contadini sfruttati, umiliati e costretti ad interminabili odissee, alla ricerca di un posto migliore attraverso un’America fatta di sterminati paesaggi e strade che paiono non aver mai fine. È per queste strade che si consuma il viaggio della famiglia Joad, che dall’Oklahoma percorre la Highway 66 verso la California. Furore è un romanzo potente, dove incontrare centinaia di uomini tutti diversi eppure in qualche modo identici, raccolti dall’autore sotto il denominatore comune esistenziale della disperazione, sotto quello economico che è quello della Grande Crisi, sotto quello politico (solo auspicato) della ribellione. Furore è romanzo del rovesciamento dell’autorità, ma anche dell’uomo che soccombe, del vecchio Joad, blasfemo e sporcaccione che, troppo legato alla terra d’origine, subito muore, non appena lo portano via. È un romanzo in cui la “natura” (in linea con gli interessi di Steinbeck per la biologia) ha un ruolo centrale nella sua indifferenza all’uomo ed alla sua sorte: messa di lato ogni provvidenza così come ogni apertura possibile verso la trascendenza divina, la natura si fa matrigna e l’unica speranza intravista non può che ricadere entro l’orizzonte dell’uomo che incontra l’altro uomo. Il povero – qui incarnato dalla famiglia Joad – non è però idealizzato. Tom Joad, protagonista a suo modo, si macchia di due omicidi. Il primo è nel passato, il secondo è perpetrato durante la fuga della carovana. Nel mezzo di tanta miseria e disperazione non solo materiale ma anche morale, il predicatore Casy non è più in grado di trovare nella fede delle risposte adeguate e così ogni “messianesimo” viene abbandonato. La salvezza deve essere cercata nell’orizzonte della politica e della cooperazione fra gli uomini. Ma la povertà rende cattivi ed egoisti, oltre che timorosi (e dunque schiavi) – e così Casy viene ucciso. Furore è una lunga sequela di egoismi, è il passaggio dall’est all’ovest, dai campi aridi alla California, lì dove i disperati in cerca di riscatto vengono sfruttati e messi gli uni contro gli altri. Omicidi, pestaggi, elemosina, nell’universo di Steinbeck sembra non esservi scampo; e la natura selvaggia fa da sfondo a tale sofferenza universale. Solo a tratti vi è qualche scintilla di vita e carità – e in questo senso grandi protagoniste sono le donne. La signora Joad su tutti e, nel finale, la figlia Rosa Tea. La vita viene da chi dona la vita. Le donne preparano il cibo, tengono insieme quello che pare destinato a sgretolarsi, prendono il posto di uomini incapaci di reagire, di trovare un senso. Le donne lottano per preservare la vita, poiché paiono le uniche (così come il predicatore Casy) ancora in grado di coglierne la sacralità. La vita segue la vita, nel mondo vegetale come in quello animale. Crollata l’impalcatura economica, gli uomini non sembrano in grado di costruire un nuovo ordine. Non così le donne, che lente vanno avanti e sono capaci di decisioni, proprio come la signora Joad che tutti guida e porta fuori dalla tempesta, fino ad un fienile, lì dove due uomini si sono rifugiati, disperati. Un ragazzo e il padre, quest’ultimo profondamente malato. Il futuro è tratteggiato a tinte fosche. Il figlio di Rosa Tea (che di tale futuro è simbolo) nasce morto. Ma il latte del suo seno non andrà sprecato. Al petto di questa giovane donna si avvicinerà l’uomo malato, sfruttato, umiliato (più topo che uomo). Nulla si sa poi di Tom Joad nuovamente in fuga, reo di aver ucciso ancora. Che sia affidato a lui, in una nuova consapevolezza l’idea della sacralità della vita, il senso del messaggio laico del predicatore Casy?
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Di Steinbeck ti raccomando “I pascoli del cielo.” E’ uno dei libri più belli che abbia mai letto.