Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Dick Tempo fuor di sesto

Siamo nel 1959, ad Old Town, una piccola cittadina americana, dove Ragle Gumm sbarca il lunario partecipando al concorso a premi di un quotidiano. La pacifica, quanto opprimente quotidianità del protagonista viene però interrotta. Un atto mancato apre all’azione, l’errore apre al dubbio – ciò che non torna apre a quanto è stato modificato, avvero ad un mondo mancato o mancante. Una cordicella in particolare, non una in generale, cercata in bagno, in quanto parte di un tutto, di un sistema, di un mondo. È esattamente quel mondo a non esserci o ad esserci, ma nella forma della distorsione, dell’esser fuori asse rispetto a se stesso, “out of joint”. Tempo fuor di sesto, edito nel 1959, come esplicita Carlo Pagetti nel saggio introduttivo Il tempo ritrovato di un piccolo Amleto americano, è il romanzo di “un’America paranoica e agitata”, in cui “ogni personaggio vive in uno stato di non-conoscenza, brancolando nel buio”. Il dubbio e lo spaesamento in cui brancola Ragle Gumm, protagonista della vicenda, è dubbio iperbolico, elevato all’ennesima potenza, capace di mettere in forse il linguaggio e la nostra capacità di dire e pensare e conoscere le cose, ma è anche qualcosa di più, è un mettere sotto pressione la consistenza stessa delle cose. In un contesto in cui tali dubbi vengono ridotti a semplici nodi psicologici o, addirittura, a regressione infantile, Ragle Gumm continua per la sua strada. Lui stesso è “fuor di sesto” rispetto ad un sistema, ad una totalità che immagina impegnata in un lavorio continuo teso a mantenerlo entro uno spazio limitato, retto dalla fatalità. Dick presenta in tal modo la follia come un essere eccentrici rispetto al senso comune e alla comune fede nella realtà per come viene presentata, spontaneamente vissuta e raccontata. Il sistema, o totalità – che può essere pensato anche come conformismo, società di massa e dominio dei media – opera per assorbire la parte, per integrarla nel tutto. Ragle Gumm ha la chiara percezione che “qualunque scusa è buona per mettere in moto il macchinario e farmi circondare da tutte le loro forze”. La realtà stessa, dunque, appare ambivalente. Da un lato è percepita come fittizia e piena di crepe, dall’altro è granitica ed opprimente, tutta tesa a serrare i ranghi per riassorbire il singolo entro un progetto a sua volta inconoscibile ed inafferrabile. Il lavorio del sistema è finalizzato alla pura immanenza, ad aver ragione di tutto e, imponendosi come unica ragione possibile, a collocare tutto il resto, quello che vuole trascenderlo, nel dominio della s-ragione, nella paranoia di Gumm.

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Certo, è necessario sottolineare come questo gioco, così come ogni gioco, non è per un giocatore solo, ma per tutti. Il sistema stesso si regge su relazioni ed equilibri che si perfezionano e si cementano col contributo di tutti e non, come vorrebbe una visione ingenua, a partire da un progetto di pochi – o addirittura di uno solo – rispetto ai quali tutti gli altri si limitano a subire. Il sistema è sistema solo nella misura in cui il potere è diffuso, sostenuto ed esercitato, anche se inconsapevolmente, dal basso. La penosa consapevolezza che qualcosa “non va” spinge Ragle Gumm a forzare le maglie del sistema, in vista di qualcosa come una trascendenza. Dick sembra convinto che nell’uomo vi sia una naturale spinta verso la verità e che l’illusione, il rifugio in ciò che è fittizio ed artificiale, possa sì essere cercato in quanto rassicurante, ma anche detestato. L’uomo, in quanto tale, sente e percepisce la mancanza di verità come oppressione, mentre la sua ricerca, o il tendere ad essa come un fine, è condotta nella speranza di riportare l’esistenza all’autenticità, di rimetterla in sesto, nei cardini della verità.

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Questa voce è stata pubblicata il Maggio 11, 2013 da con tag , .

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