Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Siamo nel 1959, ad Old Town, una piccola cittadina americana, dove Ragle Gumm sbarca il lunario partecipando al concorso a premi di un quotidiano. La pacifica, quanto opprimente quotidianità del protagonista viene però interrotta. Un atto mancato apre all’azione, l’errore apre al dubbio – ciò che non torna apre a quanto è stato modificato, avvero ad un mondo mancato o mancante. Una cordicella in particolare, non una in generale, cercata in bagno, in quanto parte di un tutto, di un sistema, di un mondo. È esattamente quel mondo a non esserci o ad esserci, ma nella forma della distorsione, dell’esser fuori asse rispetto a se stesso, “out of joint”. Tempo fuor di sesto, edito nel 1959, come esplicita Carlo Pagetti nel saggio introduttivo Il tempo ritrovato di un piccolo Amleto americano, è il romanzo di “un’America paranoica e agitata”, in cui “ogni personaggio vive in uno stato di non-conoscenza, brancolando nel buio”. Il dubbio e lo spaesamento in cui brancola Ragle Gumm, protagonista della vicenda, è dubbio iperbolico, elevato all’ennesima potenza, capace di mettere in forse il linguaggio e la nostra capacità di dire e pensare e conoscere le cose, ma è anche qualcosa di più, è un mettere sotto pressione la consistenza stessa delle cose. In un contesto in cui tali dubbi vengono ridotti a semplici nodi psicologici o, addirittura, a regressione infantile, Ragle Gumm continua per la sua strada. Lui stesso è “fuor di sesto” rispetto ad un sistema, ad una totalità che immagina impegnata in un lavorio continuo teso a mantenerlo entro uno spazio limitato, retto dalla fatalità. Dick presenta in tal modo la follia come un essere eccentrici rispetto al senso comune e alla comune fede nella realtà per come viene presentata, spontaneamente vissuta e raccontata. Il sistema, o totalità – che può essere pensato anche come conformismo, società di massa e dominio dei media – opera per assorbire la parte, per integrarla nel tutto. Ragle Gumm ha la chiara percezione che “qualunque scusa è buona per mettere in moto il macchinario e farmi circondare da tutte le loro forze”. La realtà stessa, dunque, appare ambivalente. Da un lato è percepita come fittizia e piena di crepe, dall’altro è granitica ed opprimente, tutta tesa a serrare i ranghi per riassorbire il singolo entro un progetto a sua volta inconoscibile ed inafferrabile. Il lavorio del sistema è finalizzato alla pura immanenza, ad aver ragione di tutto e, imponendosi come unica ragione possibile, a collocare tutto il resto, quello che vuole trascenderlo, nel dominio della s-ragione, nella paranoia di Gumm.
Certo, è necessario sottolineare come questo gioco, così come ogni gioco, non è per un giocatore solo, ma per tutti. Il sistema stesso si regge su relazioni ed equilibri che si perfezionano e si cementano col contributo di tutti e non, come vorrebbe una visione ingenua, a partire da un progetto di pochi – o addirittura di uno solo – rispetto ai quali tutti gli altri si limitano a subire. Il sistema è sistema solo nella misura in cui il potere è diffuso, sostenuto ed esercitato, anche se inconsapevolmente, dal basso. La penosa consapevolezza che qualcosa “non va” spinge Ragle Gumm a forzare le maglie del sistema, in vista di qualcosa come una trascendenza. Dick sembra convinto che nell’uomo vi sia una naturale spinta verso la verità e che l’illusione, il rifugio in ciò che è fittizio ed artificiale, possa sì essere cercato in quanto rassicurante, ma anche detestato. L’uomo, in quanto tale, sente e percepisce la mancanza di verità come oppressione, mentre la sua ricerca, o il tendere ad essa come un fine, è condotta nella speranza di riportare l’esistenza all’autenticità, di rimetterla in sesto, nei cardini della verità.
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
scrittore in Milano, Mondo
ΟYΤΩΣ AΤΑΛΑIΠΩΡΟΣ ΤΟIΣ ΠΟΛΛΟIΣ H ΖHΤΗΣΙΣ ΤHΣ AΛΗΘΕIΑΣ, ΚΑI EΠI ΤA EΤΟIΜΑ ΜAΛΛΟΝ ΤΡEΠΟΝΤΑΙ. «Così poco faticosa è per i più la ricerca della verità e molti si volgono volentieri verso ciò che è più a portata di mano». (Thuc. I 20, 3)
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