Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Clay, il protagonista del romanzo, è pallido, e nessuno manca di farglielo notare. Se la mancanza di vitalità è uno dei termini del discorso, allora il racconto dovrà essere ridotto al rango di mera cronaca, resoconto di fatti che non sono frutto di una scelta, ma che si fanno soggetto stesso della storia: da questi fatti Clay è attraversato, non agisce, è agito. È in tale passività che si perde la stessa nozione di tempo, che viene schiacciato sul piano del presente, quale unico contenitore capace di rendere conto del contesto in cui Clay e i suoi conoscenti vivono. Il racconto si frantuma in un resoconto e Clay si attiva e disattiva senza una ragione effettiva, al pari di un lampione difettoso, per strada, illuminando squallide porzioni di mondo. Perduta la profondità del tempo, svanisce anche la tridimensionalità propria delle persone, che vengono qui chiamate all’essere tramite l’avere: “lo psichiatra da cui vado per queste quattro settimane di vacanza è giovane, ha la barba, una 450 SL e una casa a Malibu”. E la presenza dei brani in corsivo, che indicano il passato di Clay, solo superficialmente possono richiamare qualcosa come un tempo perduto e forse rimpianto, mentre via via che la cronaca va avanti, si trasformano nei luoghi dove si annida la crisi, e in tal modo vengono risucchiati entro quell’unico spazio che è lo spazio presente, un’unica terra desolata assai estesa. Il passato si risolve in un presente in cui l’innocenza è già perduta; è il luogo di genitori che sognano di divorare i propri figli. Persi nella gabbia d’acciaio del presente, di un presente che fa acqua da tutte le parti, diviene impossibile persino il semplice tenere un diario. Tutto scivola via e Clay pare non avere a disposizione strumenti per trattenere qualcosa, e forse Meno di Zero è proprio quel diario fallito, abortito. E così, incapace di muoversi nel tempo e nel senso, non resta che toccare il fondo. Il che significa vedere fino a che punto può sollecitare se stessi rimanendo freddi, impermeabili alla realtà e al dolore degli altri: “Mi accendo una sigaretta. L’uomo gira Julian sulla pancia. Chissà se è in vendita. Non chiudo gli occhi. Qui si può sparire senza saperlo”. È in questa discesa che Clay passa attraverso le disavventure di Julian e la vista di un cadavere. Ma anche questo si rivela uno spettacolo insufficiente, perché è del tutto inutile sghignazzare davanti ad un cadavere se si ha la possibilità di fare del male. Alla vista della de-formazione dell’umano stesso incarnato da Rip (nome che richiama la morte e il riposo e il gelo del cadavere, di chi ha temperatura sotto zero) Clay volta le spalle, spingendosi fino ad una timida protesta: “non mi sembra giusto” riesce a dire, quasi senza fiato, di fronte alla dodicenne legata e drogata. Ma questa non è una riscossa. Non vi è redenzione, questo è solo un sussulto, un attimo di febbre, una lieve alterazione, un ultimo residuo di vitalità prima che si allontani lasciando tutto immutato. Qui si conclude la cronaca, il diario fallito della s-formazione sentimentale di un ragazzo che non ha nulla di speciale e che è come tanti altri: “queste immagini non mi abbandonarono nemmeno quando lasciai la città. Immagini così violente e malvagie che diventarono il mio unico punto di riferimento per molto, molto tempo”. In questo senso, American Psycho è qualcosa che viene dopo.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Anch’io anni fa scrissi un post su Ellis (http://wwayne.wordpress.com/2011/01/30/dal-libro-al-film-e-ritorno/), anche se molto meno dettagliato e incentrato su un altro romanzo, “Imperial Bedrooms”. E’ molto peggiore rispetto a “Meno di zero”, del quale costituisce il sequel, ma sicuramente non é un brutto libro.
Prima di tutto, grazie per il commento. La penso come te: “Imperial Bedrooms” è un “atto mancato”.
Grazie a te per la risposta e per il “Mi piace” (apprezzatissimo)! : )