Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Siamo nel 1948, all’interno di un ospedale dove Hans Bärlach, ispettore infartuato e da poco operato, si trova ai ferri corti con una vita che già più volte ha già minacciato di abbandonarlo. Dopo intere giornate in cui tutto aveva fatto temere il peggio, finalmente l’ispettore dà i primi segni di miglioramento. Costretto a letto, sfoglia dei vecchi numeri della rivista Life, risalenti al 1945: “Belve”, questa la prima parola che si ode dalla bocca dell’ispettore, anzi, la prima parola proferita nel romanzo stesso. Le “belve” sono i nazionalsocialisti e, in particolar modo, un medico nazista immortalato in uno scatto fotografico mentre operava senza narcosi un disgraziato cui era stato aperto lo stomaco. L’ispettore parlava al dottor Samuel Hungertobel, in quel momento nella stanza di Bärlach per la visita quotidiana. Passata di mano, la foto su Life aveva fatto impallidire il medico. Nehle è il nome del medico nazista. Il giorno successivo l’ispettore riesce a far ammettere al medico il perché di tanta agitazione alla vista di quella foto: era per la sorprendente rassomiglianza del medico nazista della foto – il dottor Nehle – con un altro medico, suo amico e collega di nome Fritz Emmenberger. Benché palesemente assurda, l’impressione che quella foto aveva suscitata su Hungertobel era stata ingigantita da un inquietante dettaglio: una cicatrice sulla tempia del dottore nazista, cicatrice identica a quella rimasta sulla tempia del dottor Emmenberger in seguito ad un’operazione che lui stesso aveva effettuato. All’altezza di tale confessione giunge a maturazione quel frutto cui l’ispettore Bärlach aveva dedicato tutta una vita. Il frutto coltivato, curato e poi assaporato era quello del “sospetto”.
Ma, cosa è il “sospetto”? L’Autore ce ne dà una prima definizione, il “sospetto” è una cosa “spaventosa”, una tentazione vera e propria, qualcosa che suggerisce il “diavolo” stesso. Ecco che il “sospetto”, ciò di cui l’ispettore Bärlach vive, viene ad essere configurato con l’atteggiamento di chi non dà le cose per buone, di chi vede l’ambiguità ovunque. Ecco che l’atteggiamento dell’ispettore, di chi cerca la verità, l’atteggiamento, per così dire, filosofico, viene illuminato nella prospettiva di chi è fuori dalla grazia di Dio, di chi viene punzecchiato dal demoniaco.
Ma, dove porta questo “sospetto”? Se tale atteggiamento risente di una presenza demoniaca e, per conseguenza, scava una distanza fra l’uomo e Dio, allora tale stato d’animo sarà tutto volto a mettere in discussione la stessa alleanza fra uomo e Dio: “bestie”, questa la prima parola proferita dall’ispettore; “non siamo bestie”, questa la protesta che il dottor Hungertobel oppone al “sospetto” insinuato dall’ispettore. Il “sospetto” si allarga, insozza tutto quello che trova – instaura una pericolosa coincidenza fra l’uomo e la bestia, allontana l’uomo da Dio, smaschera tutta l’illusorietà della pretesa antica alleanza, sgancia l’uomo dalla trascendenza riportandolo all’immanenza dell’animalità. In gioco c’è il problema dell’essenza stessa dell’uomo, il tentativo di far saltare ogni ingenuo ottimismo, di avanzare una antropologia tutta all’insegna del pessimismo. C’è molta carne al fuoco, la questione ha bisogno di tempo e non può essere sbrigata su due piedi. Il “sospetto” in quanto sospetto chiede tempo, dedizione, attenzione, silenzio, riflessione. Il “sospetto” in quanto sospetto non può essere preso alla leggera, poiché in Dürrenmatt tale tensione si configura come presa di posizione morale nei confronti dell’uomo in quanto tale.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Nella mia lista. Adesso ho i suoi racconti tra le mani, ma arriverò anche a “Il sospetto”.
Dei racconti, oltre che dal celebre “La panne”, sono rimasto folgorato da “La morte della Pizia”. È così bello e complesso che pur avendo da tempo voglia di scriverne non sono ancora riuscito a trovare la giusta prospettiva per farlo.